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Infezioni virali, i progressi della scienza medica: sarà possibile curarle con un unico farmaco

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La scoperta dei virus e prima ancora dei batteri ha permesso di capire per quali motivi uomini in perfetta salute in epoche passate, ma anche recentemente quando si diffondono epidemie, morivano come mosche nel giro di poche ore o di qualche giorno a seconda della resistenza dell’organismo o della virulenza dell’agente patogeno. Grazie alla scoperta degli antibiotici la ricerca ha messo a punto uno strumento formidabile per combattere le infezioni prodotte dai batteri. Diverso il discorso per quanto riguarda i virus che hanno un meccansimo completamente diverso rispetto ai batteri. I virus hanno infatti bisogno di replicarsi e per farlo devono riuscire ad entrare nella cellula ospite. Una volta entrati sfruttano il Dna o l’Rna della cellula per replicarsi. D’altronde a causa dell’estrema mutevolezza è molto difficile riuscire a trovare dei farmaci che risultino efficaci per combatterli. La stessa terapia contro l’Hiv riesce a bloccare la proliferazione virale ma non ancora ad eradicare del tutto l’infezione dall’organismo. Tuttavia dall’università di Siena e dal Cnr arriva una ricerca che potrebbe rivoluzionare il campo della scienza per quanto riguarda le infezioni virali. Lo studio è stato diretto da Maurizio Botta, professore del dipartimento di Biotecnologie, Chimica e Farmacia dell’Università di Siena, e da Giovanni Maga, professore dell’Istituto di Genetica Molecolare del CNR di Pavia. I ricercatori hanno sviluppato delle molecole in laboratorio in  grado di inibire la RNA elicasi DDX3, una proteina utilizzata dal virus per infettare le cellule e quindi replicarsi al loro interno. Questi composti potrebbero rivelarsi utili nell’affrontare la particolare mutevolezza dei virus con un unico farmaco che come detto, non attacca direttamente l’agente virale, ma la proteina di cui ha bisogno per potersi replicare. In questo modo potrebbero mettersi a punto dei farmaci contro l’Hiv, l’epatite C, il virus della febbre Dengue, e quello del Nilo Occidentale, quet’ultimo appartiene alla stessa famiglia del virus Zika. In tal senso così si è espresso il professor Botta: “Il potenziale di questi composti è enorme  e potrebbe trovare applicazione nel trattamento dei pazienti immunodepressi che spesso sono soggetti ad altre infezioni virali, come nel caso dei pazienti HIV/HCV co-infetti”.

 

Insomma questa scoperta potrebbe rappresentare la stessa rivoluzione nella scienza medica che è avvenuta con l’introduzione degli antibiotici per combattere le infezioni sostenute dai batteri. Lo studio è stato pubblicato sulla  rivista americana PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences).

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