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Pico della Mirandola, la verità sulla morte del grande umanista 500 anni dopo

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Pico della Mirandola arsenico
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Pico della Mirandola arsenico

Pico della Mirandola scomparso a soli 31 anni per circostanze poco chiare a Firenze nel 1494, morì non per la sifilide bensì per avvelenamento da arsenico. Si tratta dei risultati di una ricerca condotta dalle università di Pisa, Bologna e del Salento in collaborazione con quella spagnola di Valencia, la britannica di York e il tedesco Max Planck Institute e con gli esperti del Ris di Parma. I ricercatori hanno sottoposto le ossa, le unghie i vestiti, i tessuti molli mummificati, il legno della cassa a complessi esami chimici e fisici per confermare sia l’identificazione dei resti e sia per rilevare l’eventuale presenza del veleno. A distanza di 500 anni è stato così possibile stabilire che il grande umanista non morì per la sifilide, ma per l’avvelenamento da arsenico. In questo senso così spiega Fulvio Bartoli del Dipartimento di Biologia dell’università di Pisa: “Gli esami hanno dimostrato che nei resti del filosofo erano presenti segni riconducibili a intossicazione da arsenico e che i livelli del veleno erano potenzialmente letali, compatibili con la morte per avvelenamento acuto. Ovviamente è difficile dimostrare che sia stato un avvelenamento intenzionale, anche se questa ipotesi è sostenuta da varie fonti documentali e storiche”. Bartoli soggiunge che queste complesse analisi hanno preso in esame i resti di un altro grande umanista, Angelo Poliziano, anch’egli scomparso in circostanze mai del tutto chiarite: “ha riguardato anche le spoglie di un altro grande umanista, Angelo Poliziano, anche lui scomparso prematuramente nel 1494 e inumato in una tomba vicina a quella di Pico. In questo caso però non risulta confermata l’ipotesi dell’avvelenamento perché i livelli di arsenico trovati sono piuttosto attribuibili a un’esposizione cronica al veleno, causata probabilmente da fattori ambientali o trattamenti medici”. Nell’Orazione sulla dignità dell’essere umano
(Oratio de hominis dignitate) il filosofo scrive che: “Non ti abbiamo dato, o Adamo, una dimora certa, né un sembiante proprio, né una prerogativa peculiare affinché avessi e possedessi come desideri e come senti la dimora, il sembiante, le prerogative che tu da te stesso avrai scelto. Agli altri esseri una natura definita è contenuta entro le leggi da noi dettate. Tu, non costretto da alcuna limitazione, forgerai la tua natura secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai. Ti ho posto in mezzo al mondo, perché di qui potessi più facilmente guardare attorno tutto ciò che vi è nel mondo. Non ti abbiamo fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché come libero, straordinario plasmatore e scultore di te stesso, tu ti possa foggiare da te stesso nella forma che preferirai. Potrai degenerare nei esseri inferiori, che sono i bruti; potrai rigenerarti, secondo la tua decisione, negli esseri superiori, che sono divini. O somma liberalità di Dio Padre, somma e mirabile felicità dell’essere umano. Al quale è concesso avere ciò che desidera, essere ciò che vuole. I bruti nascendo portano con sé (come dice Lucilio) dall’utero della madre tutto ciò che possederanno. Gli spiriti superni o sin dall’inizio o poco dopo diventarono quello che saranno nell’eternità perpetua. Nell’essere umano nascente il Padre infuse semi di ogni tipo e germi d’ogni specie di vita. I quali cresceranno in colui che li avrà coltivati e in lui daranno i loro frutti.Se saranno vegetali, diventerà pianta; se sensuali abbrutirà, se razionali, diventerà creatura celeste, se intellettuali sarà angelo e figlio di Dio. E se, non contento della sorte di nessuna creatura, si raccoglierà nel centro della sua unità, fattosi spirito in unione con Dio, nella solitaria caligine del Padre, colui che è collocato sopra tutte le cose su tutte primeggerà. Chi non ammirerà questo nostro camaleonte? O piuttosto chi ammirerà qualsiasi altro essere in misura maggiore? Non a torto, l’Ateniese Asclepio disse di lui che, per la sua natura che muta e si trasforma, nei misteri era raffigurato come Proteo. Da qui quelle metamorfosi celebrate presso gli Ebrei e i Pitagorici. Infatti anche la più segreta teologia degli Ebrei ora trasforma il santo Enoch nell’angelo della divinità, che chiamano Metatron, ora in altri spiriti divini. E i Pitagorici deformano gli uomini scellerati in bruti e, se si crede ad Empedocle, anche in piante. Imitando costoro, Maometto ripeteva spesso e a ragione che chi si è allontanato dalla legge divina diventa un bruto. Infatti non è la corteccia che fa la pianta, ma la natura insensibile e non senziente; non il cuoio che fa la giumenta ma l’anima bruta e sensuale; non il corpo circolare che fa il cielo, ma la retta ragione; non la separazione dal corpo che fa l’angelo, ma l’intelligenza spirituale. Se vedrai qualcuno dedito al ventre strisciare per terra, non è uomo quello che vedi ma pianta; se qualcuno come Calipso rimane accecato da vani miraggi della fantasia e succube di seducente incantesimo, fatto servo dei sensi, non è un essere umano quello che vedi ma un bruto. Se vedrai un filosofo discernere ogni cosa con retta ragione, veneralo; è animale celeste, non terreno.Se vedrai un essere puro contemplante, ignaro del corpo, relegato nei recessi della mente, questi non è animale terreno, non è essere celeste: questi è uno spirito ancora più venerabile, rivestito di carne umana. Chi dunque non ammirerà l’essere umano?”.

 

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