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Cassazione: finita la pacchia per i figli bamboccioni

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Giudice tribunale
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Per il Palazzaccio è corretta la revoca del mantenimento al figlio 30enne poco portato per lo studio da tempo anche se disoccupato. La ex moglie convivente con il ragazzo perde anche la casa.

Revocato il mantenimento al figlio di 30 anni poco incline allo studio, anche se disoccupato. L’età adulta è indice inequivocabile d’inerzia e del poco impegno del giovane nel conquistare una propria indipendenza economica, seppur minima. Questo il concetto ribadito dalla Cassazione nell’ordinanza n. 32406 dell’8 novembre 2021: il figlio trentenne che ha smesso di studiare da anni senza riuscire a inserirsi in modo stabile nel mondo del lavoro perde l’assegno di mantenimento. Irrilevante che non sia riuscito a raggiungere l’indipendenza economica.

Sui figli bamboccioni la Corte di Cassazione, fa una brusca frenata facendo vacillare quanto affermato con vigore e in più occasioni in sede di legittimità e cioè che i ragazzi devono essere mantenuti fino a quando non trovano un lavoro stabile e consono alla propria formazione scolastica. La vicenda riguarda un trentaduenne che aveva smesso di studiare a sedici anni e da allora aveva fatto molti corsi professionali trovando, però, solo lavori saltuari.

La Corte d’Appello di Caltanissetta ha revocato l’assegno che era consegnato direttamente alla madre e poi anche l’assegnazione della casa familiare. Inutile, a questo punto, il ricorso della donna alla Suprema corte. Nell’ordinanza gli Ermellini, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, spiegano come bene hanno fatto i giudici territoriali a rilevare che il figlio, oramai trentaduenne, aveva abbandonato gli studi all’età di sedici anni, aveva frequentato corsi di formazione professionale negli anni 2011 e 2012, aveva avuto esperienze lavorative, seppur saltuarie, e non risultavano presenti circostanze oggettive o soggettive tali da giustificare la sua impossibilità di inserirsi nel mondo del lavoro. In poche parole, bene ha fatto la Corte territoriale a dare concreta applicazione al principio della autoresponsabilità, che impone al figlio di non abusare del diritto ad essere mantenuto dal genitore oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché l’obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione e, nella valutazione degli indici di rilevanza, ha correttamente ritenuto di dover ponderare la sussistenza dei requisiti per il mantenimento con rigore crescente con il crescere dell’età del figlio. A fronte di tale motivazione, la ricorrente si limita a richiamare, in modo non pertinente rispetto ai dati fattuali accertati dai giudici d’appello di Caltanissetta, la giurisprudenza di legittimità e a dedurre, peraltro genericamente, che non sono provate, né sussistenti, nella specie, l’indipendenza economica del figlio e la percezione da parte di quest’ultimo di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita, senza specificamente confrontarsi con l’iter argomentativo della sentenza impugnata, secondo cui non ricorre, in capo al figlio maggiorenne, il requisito della non autosufficienza economica per causa a lui non imputabile, così in buona sostanza chiedendo, tramite la denuncia di vizio di violazione di legge, la rivisitazione del merito.

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