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Errori giudiziari e privacy: approvato diritto all’oblio sul web con la riforma del processo penale

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Giudice tribunale
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Errori giudiziari e privacy: approvato diritto all’oblio sul web con la riforma del processo penale.  Via le notizie negative e pregiudizievoli alla privacy da Google e dai siti internet.

L’avvio di un’indagine penale è notizia ghiotta per i giornali che, alla ricerca continua di scandali con cui intrattenere i propri lettori, sono ormai soliti lasciare ampio spazio alla cronaca giudiziaria. Spesso però l’informazione non tiene conto del limite costituzionale che presume ogni cittadino innocente fino a sentenza definitiva. Peraltro la sola notizia dell’invio di un avviso di garanzia genera nell’opinione pubblica la convinzione della colpevolezza dell’indagato. Indagato che, anche a indagini concluse ed addirittura anche dopo l’eventuale assoluzione, resta marchiato da un’onta sociale. Tutto ciò ovviamente, quando si parla di internet, si moltiplica all’ennesima potenza, sia in termini di rapidità nella diffusione dell’informazione, sia in termini di capillarità. Non solo.

Esiste un principio, chiamato «diritto all’oblio», che impone la non riproposizione di fatti ormai non più attuali, anche laddove la notizia dovesse essere vera, ormai recepito dal Governo delegato che prevede che i nomi degli innocenti scompaiono da Google grazie alla riforma del processo penale. Che recepisce il regolamento europeo Gdpr sulla privacy e la recentissima giurisprudenza della Cassazione sul punto: nell’esercitare la delega il Governo dovrà prevedere nel decreto legislativo ad hoc che determinati provvedimenti giudiziari favorevoli all’indagato o all’imputato costituiscono titolo per ottenere dal giudice un provvedimento di deindicizzazione dal motore di ricerca.

Insomma, il diritto all’oblio garantito dal diritto Ue scatta sulla base del decreto di archiviazione oppure della sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione: lo prevede l’articolo 1, comma 25, della legge passata in via definitiva ieri al Senato dopo il voto di fiducia do mercoledì. E Palazzo Chigi dovrà provvedere nel provvedimenti attuativo per le modifiche alle norme di attuazione del codice di procedura penale in materia di comunicazione della sentenza.

Un diritto dell’individuo, quello alla “deindicizzazione”, da bilanciare comunque con il diritto all’informazione che spetta alla collettività. È stato il regolamento 2016/679 General data protection a introdurre un riferimento esplicito al diritto all’oblio all’articolo 17, (primo paragrafo lettera f), che è chiarito nel suo portato dal considerando 65C, dove è menzionato fra parentesi in una disposizione dedicata alla «cancellazione» dei dati personali. In Italia Gdpr è stato recepito con il decreto legislativo 101/18 e sul diritto all’oblio si è pronunciata il 31 maggio scorso la prima sezione civile della Suprema corte con l’ordinanza 15160/21: si può ordinare al motore di ricerca di far scomparire dai risultati della query un articolo pubblicato sul web che pure è d’interesse generale ma lede la riservatezza di una persona che non riveste la qualità di personaggio pubblico, noto a livello nazionale. Il tutto perché un accesso agevolato e protratto nel tempo ai dati personali dell’interessato, grazie a semplici parole chiave, finisce per attribuire al soggetto una «biografia telematica» diversa da quella reale, perché costituita da notizie ormai superate.

Insomma: il nome del privato deve scomparire dalle ricerche su Google che si ottengono inserendolo come parola chiave se i risultati che si ottengono ledono il suo diritto all’identità. E ciò specialmente se le pagine dei “siti sorgente” trovate in rete gli attribuiscono qualità deteriori o cattive frequentazioni. La norma, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, è stata inserita nella delega sul processo penale durante l’esame in commissione alla Camera, con un emendamento riformulato di Azione. Un tema rimasto sullo sfondo del dibattito, egemonizzato dalla questione dell’improcedibilità in appello. Ma riemerso durante la discussione a Palazzo Madama. Ciò significa che finalmente non si ha più la possibilità di andare a ricercare, digitando un nome, il passato di una persona. Come nel caso di persone che, per ipotesi, hanno superato una certa fase della vita, dopo la quale si sono comportate bene, sono diventate persone diverse.

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